Recenti Ricerche delle Neuroscienze e della Psicologia Cognitiva

  "NON SARA' UNA DEMENZA?"

riconoscere e identificare i disturbi cognitivi e comportamentali negli ultra50enni

Per una migliore utilizzazione di Mens Sana

In questa sezione vengono presentati articoli scientifici che possiamo raggruppare in due categorie: articoli concernenti esperimenti “storici” (Pavlov, Libet, Milgram, Zimbardo ecc.) o comunque ricerche più volte confermate e tali da costituire solidi punti di riferimento nelle neuroscienze e/o nella psicologia scientifica, e ricerche di grande interesse in aree ancora aperte ed in evoluzione: abbiamo raggruppato i primi sotto il titolo “Le Grandi Ricerche”, ed i secondi sotto il Titolo “Recenti Ricerche delle Neuroscienze e della Psicologia Cognitiva”. In entrambi i gruppi, ma in particolare nel secondo, il futuro potrà riservarci importanti e forse anche rivoluzionarie novità: le nostre riflessioni e proposte e gli stessi articoli di Autori prestigiosi che riportiamo, hanno solo il fine di informare su quanto oggi si conosce e di destare curiosità e desiderio di tenersi aggiornati… “πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός- panta rhei os potamòs tutto scorre come un fiume

P.S.: Se vi interessa un tema particolare usate la funzione “Cerca” in alto a dx

Jean-CottrauxRisposta: Si. Le psicoterapie generalmente migliorano, da sole o più spesso associate alla terapia farmacologica, lo stato di salute e/o di benessere  del paziente.
Vi sono tuttavia rilevanti differenze tra i diversi tipo di psicoterapie. Il più esteso ed importante studio internazionale di revisione della letteratura fino ad ora effettuato ha potuto esaminare studi rigorosi e numericamente significativi solo per tre indirizzi psicoterapeutici: quello  cognitivo-comportamentale, quello psicodinamico e quello familiare o di coppia. Ciascun indirizzo permette di conseguire risultati generalmente favorevoli se i pazienti sono adeguatamente selezionati.

Fabio CelliRisposta: Moltissimo: molto di più di quanto immaginiamo. Vi sono siti quali tweetpsych.com, che sostengono di poter effettuare una diagnosi di personalità di ogni soggetto presente in tweet (basta inserire l’account) e vi sono ricercatori molto seri, tra i quali l’italiano Fabio Celli, che sono giunti a risultati non meno sorprendenti effettuando ricerche rigorose su questo interessante ed inquietante  aspetto dei social network . Ecco gli Articoli…

Karin JamesRisposta fornita da Karin James e colleghi:

Si. E’ ancora utile scrivere manualmente, in particolare per i bambini, in quanto la scrittura manuale attiva circuiti cerebrali che migliorano memoria e capacità di apprendimento. Lo dimostra tra l’altro un interessante studio della neuroscienziata Karin James che utilizzando la risonanza magnetica funzionale dimostra che l’uso della scrittura in corsivo facilita la lettura dei testi e che gli studenti ricordano meglio le notizie scritte in corsivo rispetto a quelle digitate con tastiera o tracciate.

Rebecca PearsonRisposta fornita da Rebecca Pearson e colleghi:

Si. Qualcosa viene certamente trasmesso tra genitori e figli, anche se ancora non sappiamo cosa, quanto e come.

R. Kanai, B. Bahrami, R. RoylanceRisposta fornita da Kanai e coll.:

NO. Avere frequenti contatti ed assidua frequentazione nei “Social Network” porta ad un aumento di densità cellulare in aree specifiche dei lobi temporali e degli ippocampi. Non sono note le conseguenze neuropsicologiche nel medio-lungo periodo di questi fenomeni, in particolare nei soggetti più giovani.
In allegato l’articolo originale di Kanai

Daniel Kahneman e Amos TverskyRisposta fornita da Daniel Kahneman e Amos Tversky:

No: sono stati individuati almeno 2 meccanismi di risposta agli stimoli che ci provengono dall’esterno ( siano essi stimoli sensoriali o cognitivi): Kahneman e Tversky li hanno denominati Sistema 1 e Sistema 2.

Lera BoroditskyRisposta fornita dagli studi di Lera Boroditsky (2001-2011):

La lingua è un semplice strumento che permette la espressione di un pensiero, la manifestazione di un sentimento, la descrizione di una osservazione oppure la lingua finisce con l’esercitare una influenza sul nostro modo di percepire e quindi di pensare il mondo?

 

a cura di Riccardo De Gobbi

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