L'isola

  "NON SARA' UNA DEMENZA?"

riconoscere e identificare i disturbi cognitivi e comportamentali negli ultra50enni

Quando ho pensato e sviluppato “L’isola”, mi sono proposta di sensibilizzare noi MMG al tema della demenza con un tocco di “leggerezza”, attingendo ai campi dell’arte, della letteratura, del cinema e della musica. Queste arti hanno la capacità di parlare della demenza suscitando un’esperienza estetica ed emotiva, che volevo trasmettere, almeno in parte, anche ai visitatori del sito.

La medicina basata sulla conoscenza scientifica, sulla tecnologia più avanzata, sul problem solving e sul decision making, dimentica spesso che la malattia comporta sia alterazioni di tipo biologico sia alterazioni di tipo psicologico e sociale; essa modifica la percezione della vita stessa e condiziona il rapporto tra esseri umani – esseri fatti di corpo e apparati biologici ma anche di emozioni, di paure, aspettative.

L’iper-specializzazione della medicina dal punto di vista del rapporto umano è risultata inoltre poco adeguata di fronte alla transazione epidemiologica, nel momento in cui le malattie acute e infettive sono state superate da patologie croniche e degenerative dovute anche al progressivo invecchiamento della popolazione.

La soluzione non sta nel rifiutare il sapere medico-scientifico, che è una indubbia conquista, ma vederlo come strumento senza identificare la totalità della malattia con i dati tecnico-scientifici che la definiscono.

Da più di trent’anni si parla di riumanizzazione della medicina: è questo un percorso mirato a “rimettere la persona al centro” della medicina (dove la “persona” è, in primo luogo, il malato, ma anche il medico stesso).

La riumanizzazione della medicina è diventata una necessità primaria, secondo quanto sancito già nel 1948 dall’OMS, che definiva la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità.

Alla necessità di superare un modello puramente biomedico della medicina ha dato una risposta Engel (1) introducendo il modello “bio-psico-sociale” dello sviluppo della persona e quindi della malattia: in questa concezione, la malattia è un fenomeno olistico il cui trattamento non è solo meramente “farmacologico”. La Geriatria è stata finora l’unica disciplina medica che ha capito pienamente l’importanza di questo modello, sviluppando la metodologia della Valutazione Multidimensionale (2). In realtà il modello “bio-psico-sociale” è alla base della pratica quotidiana della Medicina Generale, in quanto noi MMG siamo gli unici che davvero conosciamo tutti gli aspetti “bio-psico-sociali” dei nostri assistiti grazie al rapporto pluriennale che intratteniamo con loro. E siamo anche i primi ad applicare – spesso inconsapevolmente – le terapie “non farmacologiche” nella nostra pratica quotidiana, camminando sul tappeto dell’empatia che abbiamo saputo tessere nel nostro rapporto con il paziente.

 

Anche nel sempre più vasto campo delle demenze, per offrire una risposta appropriata ad una domanda di salute complessa, dobbiamo essere in grado di offrire un percorso che preveda:

  • la sensibilizzazione del MMG a queste tematiche, nel senso disuperare una concezione riduzionista della malattia mediante il riconoscimento e la gestione delle reazioni comportamentali e psicologiche, anche eventualmente attraverso il ricorso a specialisti;
  • il riconoscimento delle finalità della consultazione/incontro con il paziente e i suoi familiari, che deve mirare a valutare gli aspetti emotivi che accompagnano la malattia e le risorse emotive del paziente;
  • la capacità di cambiare noi stessi in primis rimuovendo il nostronichilismo terapeutico (“No terapia farmacologica = no guarigione clinica”) per sostenere un più sicuro ed attuabile percorsoverso lastabilizzazione e se possibile miglioramento della qualità di vita, anche tramite “terapie non farmacologiche”.

Questo percorso risulta particolarmente appropriato quando si parla di demenze, in cui la terapia farmacologia può non essere del tutto soddisfacente.

 

L’arte, la letteratura, il cinema, la musica possono giocare un ruolo importante nella pratica terapeutica, grazie anche alla possibilità di verificarne i benefici con prove scientifiche. Esse consentono di confortare il paziente e ridurre quei disturbi del comportamento che pregiudicano il suo contesto familiare e sociale.

Questo è il motivo per cui anche noi MMG dobbiamo conoscere tutti gli aspetti di stimolazione cognitiva che possono essere offerti al nostro paziente affetto da demenza (a chi piace la musica classica, a chi la musica da ballo, a chi il gioco a carte, la lettura, l’enigmistica, la TV, la pittura, etc.). Queste attività sono “… da somministrare una o più volte al giorno, tutti i giorni, indipendentemente dai pasti, anche contemporaneamente …” in associazione alla terapia farmacologica. L’applicazione di nuove metodiche e la presa in carico del paziente affetto da demenza da parte di nuove figure terapeutiche (per esempio, lo psicologo) non devono contrapporsi ma convivere con la EBM (Evidence Based Medicine), che sicuramente rimane un punto miliare per la diagnosi e la terapia della demenza.

cervello sinistroA fianco quindi di nuovi trattamenti e studi che ci portino ad una diagnosi precoce e ad un trattamento più incisivo della demenza, anche attraverso la genomica, dobbiamo diventare consapevoli cultori ed interpreti di quella medicina personalizzata bio-psico-sociale che mira alla gestione della complessità. Questo è il testimone da lasciare ai giovani medici.

 

1.Engel, G. L.. The Biopsichosocial Model and Medical Education : Who are to be the teachers ? N Engl J Med, 1982, 306:802-805.
2.Rubinstein, L. Z. et al. : Effectiveness of a Geriatric Evaluation Unit: a randomized clinical trial. N Engl J Med, 1984, 311:1664-1670.

 

Lucia Benini

a cura di Lucia Benini

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