Non c’è solo un valore estetico nel fare musica: dalla sua bellezza intrinseca, in grado di comunicare universalmente, scaturisce un intenso valore etico. La musica è necessaria alla vita, può cambiarla, migliorarla e in alcuni casi può addirittura salvarla. Claudio Abbado
La musica accompagna l’esistenza umana in quanto esperienza universale, comune a tutte le culture.
Concorre a determinare il carattere, la continuità e lo sviluppo della cultura di cui fa parte ed è in grado di unirsi a qualsiasi attività, occasione, rapporto, istituzione, gruppo.
La musica condivide parte delle regole della comunicazione che è propria dell’essere umano ed è uno dei veicoli di emozioni, affetti, messaggi più o meno diretti. Chi di noi non si è mai lasciato coinvolgere da una musica che evochi significati e ricordi.
Come spiegherò più avanti, la musica ha un importante effetto di psico-stimolazione e mnesico , ma non solo. Infatti da sempre, l’intelligenza peculiare della razza umana, si estrinseca parimenti nella capacità di modificare l’ambiente e nella capacità di sviluppare il “piacere “ dei sensi, vista e udito, normalmente dedicati a captare le” minacce” provenienti dall’ambiente. Ecco versimilmente perché la musica produce piacere e rilassa, come è stato sperimentato da ciascuno di noi, tant’è che molti la utilizzano (in casa, in auto) per ritrovare o mantenere tranquillità e recuperare una dimensione meno convulsa della vita.
E gli “illustri “? Del Bolero si racconta che sia stato composto quando Ravel era ormai in fase di avanzata demenza e fu segno di demenza quella ripetizione ossessiva in aumento, come un mantra, che poi sarà il suo punto di più alta fascinazione. Quando si legge che Nietzsche, anche lui divorato dalla demenza, improvvisava al pianoforte e piangeva ascoltando musica, ci si chiede quali corde profonde vada a toccare la musica. Ma forse ora cominciamo a capire.
Uno sguardo nel passato. Nell’antica Grecia, Apollo era considerato il dio sia della medicina che della musica. Francis Bacon nella sua opera fondamentale the advancement of learnig afferma che i letterati fecero bene a unire la musica e la medicina in Apollo perché il compito della medicina non è altro che intonare quella strana arpa che è il corpo umano e riportarla nell’armonia.
Nel libro di Samuele si narra “lo spirito del Signore si era allontanato da re Saul ed uno spirito malvagio di dio lo aveva invaso. Davide prendeva la cetra e suonava con la sua mano, Saul trovava la calma”. Forse possiamo pensare che Davide sia stato il primo musicoterapeuta, Saul il primo paziente e la musica il farmaco?
Durante tutto il Medioevo si sviluppò la convinzione che l’uso di scale musicali diverse generasse effetti psicologici differenti; l’attenzione dei medici per per gli effetti della musica fu profondamente influenzata dalla teoria umorale, che a quei tempi considerava la salute come un equilibrio fra i fluidi del corpo. Si pensi ad esempio alla malinconia che veniva considerata come un eccesso di bile nera, e alcuni trattati del Medioevo consigliavano di trattare la malinconia con l’ascolto della musica mettendo ben in guardia dall’utilizzare melodie inappropriate, che avrebbero potuto provocare effetti contrari.
Il presente. Nel 2001 l’American Accademy of Neurology ha indicato la musicoterapia come una tecnica per migliorare le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento nel malato di Alzheimer.
Oggi inseguito a molti studi effettuati nel campo della psicologia e delle neuroscienze nell’ultimo decennio la musica è entrata a pieno titolo tra i processi cognitivi complessi. L’ascolto e la pratica musicale portano a benefici a breve e a lungo termine, dalla modifica dello stato attentivo e motivazionale alla migliore interazione con le altre persone e al rispetto di un certo numero di regole astratte.
“Nonostante il progressivo deterioramento cognitivo causato dalla malattia di Alzheimer e della demenza senile - ci spiegano i neuropsicologi - il paziente conserva intatte certe abilità e competenze musicali fondamentali (intonazione, sincronia ritmica, senso della tonalità). Il malato è in grado di ricordare le melodie e spesso anche le parole che sono stati la colonna della sua vita.
La musica di Mozart, e sembra solo quella nella musica classica, è in grado di stimolare alcune funzioni cognitive.
Si era già parlato nel 1993 dell’effetto Mozart, quando venne pubblicato su Nature uno studio, eseguito in un college americano, in cui i ricercartori sostenevano che studenti che ascoltavano un brano del celebre musicista per 10 minuti, riuscivano con più facilità in compiti cognitivi di vario tipo rispetto a persone usate come controllo.
Secondo Fran Rauscher, le melodie di Mozart sarebbero in grado di agire sull’attività dei geni responsabili della creazione di nuove connessioni neuronali (sinapsi). Oltre a migliorare l’apprendimento, tali connessioni si sono rivelate utili anche per rallentare il decorso dell’Alzheimer o altri disturbi neurodegenerativi. I ricercatori hanno scoperto che nell’ippocampo di topolini sottoposti alla musica di Mozart, aumentava l’attività di geni essenziali per l’arrichimento delle sinapsi, ed è in grado di rendere, attraverso la plasticità, il cervello più attivo.
Ma non è solo la sonata per due pianoforti K 448 ad avere una funzione benefica nei pazienti affetti da demenza, le parole di “o sole”, come quelle dell’inno di Mameli o di canzoni popolari non si dimenticano mai. Se il cervello le ha sentite e memorizzate anche in un lontano passato, le ricorda. Anzi stimolare il paziente a cantare, ascoltare, ballare le melodie o i canti popolari può dare secondo alcuni musicoterapeuti spesso un vantaggio. Infatti quando riascoltiamo, anche a distanza di anni un brano per noi “storico”, associato a particolari ricordi, emozioni, situazioni, tramite “l’area del ricordo” rievochiamo il momento cui quella canzone è entrata dentro l’animo, così come le emozioni provate. Il motivo clinico esiste: si tratta della corteccia mediale pre-frontal e e questa è l’ultima parte nei pazienti affetti da Malattia di Alzheimer ad essere danneggiata.
Canta che ti passa, vecchio detto popolare, perché cantando il duol si disacerba (Petrarca)!