Lucia Benini, Alessandro Pirani
Il primo caso di malattia di Alzheimer (AD) diagnosticata da Aloysius “Alois” Alzheimer è stato quello di una donna: Auguste Deter. Da allora le donne (58%) più degli uomini (42%) hanno segnato la AD, di cui ricordo alcuni esempi celebri al femminile come Margareth Thatcher, Iris Murdoch, Rita Hayworth, Lauretta Masiero.
In questo articolo vogliamo condividere alcune riflessioni sul rapporto tra donne e Alzheimer, facendo uso anche del dossier “Women and Dementia”, pubblicato nel giugno 2015 dalla Federazione Internazionale delle Associazioni Alzheimer (http.//www.alz.co.uk/women-and-dementia).
Si tratta di una pubblicazione di rilievo internazionale, elaborata da un gruppo multidisciplinare di medici, psicologi e sociologi con lo scopo di presentare alcuni aspetti della malattia dementigena in relazione alle donne.
Il primo dato importante è che in tutte le regioni del mondo la demenza colpisce soprattutto le donne, sia in termini di pazienti che si ammalano sia in termini di persone che assistono, in veste di caregiver o professionale, i malati di demenza.
La malattia.
In Europa si prevede che nel 2020 vi siano oltre 15 milioni di persone affette da demenza, con un rapporto femmine/maschi doppio per il genere femminile rispetto a quello maschile. Il tasso di disabilità generato dalla demenza è quasi il doppio di quello del diabete. La AD rappresenta il 54% di tutte le demenze con una prevalenza nella popolazione ultrasessantacinquenne del 4,4%. La prevalenza della AD aumenta con l'età e risulta maggiore nelle donne, che presentano valori che vanno dallo 0,7% per la classe d'età 65-69 anni al 23,6% per le ultranovantenni mentre negli uomini tali valori variano rispettivamente dallo 0,6% al 17,6%. I tassi d'incidenza per AD indicano un incremento nelle femmine da 2,2 casi nella classe d'età 65-69 anni a 69,7 casi per 1.000 anni-persona negli ultra90enni mentre nei maschi i corrispettivi valori si arrestano a 0,9 casi per 1.000 anni-persona nella fascia d'età' 65-69 anni a 20 casi negli ultra90enni (dati 2015 del Ministero della Salute).
Si pone una domanda : il cervello degli uomini e delle donne è uguale ?
Il professor Antonio Federico, Professore Ordinario di Neurologia presso l’Università di Siena si esprimeva così in un’intervista su La Stampa dell’8 marzo 2013:
Negli ultimi anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha posto particolare attenzione sulla diversità con cui numerose patologie neurologiche, che un tempo erano ritenute prettamente maschili, si manifestano molto di più nella popolazione femminile. La Società Italiana di Neurologia, ha attivato l’organizzazione di un gruppo di studio che indaga sulla Neurologia di Genere promuovendo la conoscenza del cervello, delle sue funzioni e delle sue patologie in relazione alle diversità tra maschio e femmina (Gruppo di studio donna e malattie neurologiche). I dati scientifici, infatti, evidenziano chiare e nette differenze tra il cervello femminile e quello maschile, differenze che sono genetiche, ormonali e strutturali anatomo-fisiologiche, con importanti conseguenze sulle funzioni cerebrali e anche su alcune malattie. Donne e uomini sono dunque differenti non solo anatomicamente e per il modo di approcciarsi alla vita, ma anche nell’utilizzo di uno dei più importanti organi del corpo: il cervello. A parità di quoziente intellettivo, gli uomini hanno sei volte e mezzo la materia grigia delle donne, che è collegata all’intelligenza generale, mentre le donne hanno dieci volte la materia bianca dell’uomo, che ha la funzione di relazionare le aree cerebrali tra loro. Se le differenze strutturali sono così evidenti, come si traduce questo nella pratica? Sono evidenti anche differenze sull’impiego delle aree del cervello: le donne utilizzano in maniera dominante il lobo frontale, area legata ai processi decisionali, molto connessa alle cosiddette aree “limbiche”, sede dell’emotività, mentre l’uomo è tendenzialmente portato a coinvolgere, nel processo di ragionamento, una zona più vasta di corteccia. Il processo decisionale delle donne è quindi influenzato dall’area emozionale in misura maggiore rispetto a quello degli uomini: l’uomo tende ad elaborare la realtà basandosi soprattutto sull’emisfero sinistro, razionale, logico e rigidamente lineare, al contrario la donna utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che permette di compiere operazioni mentali in parallelo. Il celebre “intuito” femminile si basa quindi proprio sulla possibilità del cervello di elaborare la realtà in modi diversi e paralleli. Il cervello femminile essendo più dinamico dal punto di vista metabolico ed abituato a situazioni legate a variazioni ormonali, è caratterizzato da una maggiore elasticità. In situazioni complesse è dunque avvantaggiata la donna, perché il cervello femminile è meno “rigido” e portato, quindi, ad analizzare uno spettro più ampio di dati e possibilità; al contrario, il cervello maschile è favorito in situazioni semplici e collaudate.
Molte ricerche hanno dunque dato per scontato l’esistenza di un cervello “femminile” e di uno “maschile”. Tuttavia recentemente un gruppo di ricercatori di vari istituti di ricerca istraeliani, tedeschi e svizzeri guidati da Daphna Joel dell’Università di Tel Aviv analizzando 1400 cervelli con risonanza magnetica, confuterebbe in parte questa suddivisione in due gruppi di genere, la differenza sarebbe limitata al funzionamento ( studio pubblicato fine 2015 su PNAS). Secondo l’analisi dei ricercatori, non è stato possibile identificare i cervelli come prevalentemente tipici di un sesso o dell’altro, solo il 6% è risultato avere tratti prevalentemente tipici di un sesso o dell’altro.
Ma quali sono le ipotesi per spiegare un’incidenza maggiore nel sesso femminile, ma in modo specifico della AD, tralasciando le altre forme di demenza. Molti studi e una ampia review pubblicata da Farrer et al. (JAMA, 1997; 278(16):1349-56) dimostrano una maggiore incidenza di AD nelle donne portatrici del gene ApoE ε4 rispetto ai maschi. Una persona può avere 0, 1 o 2 alleli ApoE ε4: avere un maggior numero di alleli aumenta il rischio di sviluppare la AD soprattutto la forma precoce che colpisce le persone tra i 30 e i 60 anni e rappresenta meno del 5 % di tutte le persone con AD. (https://www.nia.nih.gov/alzheimers/publication/alzheimers-disease-genetics-fact-sheet). La proteina ApoE ha molte funzioni nell’organismo, incluso il trasporto del colesterolo e molecole simili tra cui la beta-amiloide dentro e fuori dalle cellule. Le proteine APOE fatte dai diversi alleli gestiscono questo trasporto in modo diverso a seconda degli alleli da cui sono prodotte. Nel caso della beta-amiloide, il cui trasporto fuori dal cervello è regolato dalla ApoE, l’allele ApoE2 è molto più efficace nello smaltimento della beta-amiloide dell’allele ApoE4 mentre l’efficienza dell’allele ApoE3 si colloca nel mezzo. Per questo la presenza dell’ApoE4 è correlata con l’aumento delle formazione di placche di beta-amiloide nel cervello. La presenza dell’allele ApoE4 rappresenta solo un fattore di rischio perché molte persone che sviluppano l’AD non hanno l’allele ApoE4. Nei soggetti con Mild Cognitive Impairment, si è visto che le femmine ma non i maschi con l’ApoE4 eterozigote hanno volumi ippocampali più piccoli quando paragonati con i non-carrier (Fleisher et al., 2005). Damoiseaux et al (J Neurosci.2012; 32(24):8254–8262) hanno dimostrato che le femmine anziane sane con ApoE4 ma non i maschi hanno una ridotta funzione di connessione della regione del precuneo che riveste un ruolo chiave nella funzionalità di base cerebrale ed è precocemente interessata nel corso della AD.
A conferma di questo giunge anche una recente rivalutazione, pubblicata in The Lancet Neurology, del primo caso, l’Auguste Deter, in cui le più moderne tecnologie hanno riscontrato una mutazione nel gene PSEN1 con alterazione della funzione della gamma secretasi.
Gli estrogeni potrebbero avere un ruolo protettivo ma solo in età fertile (studi della Mayo Clinic) mentre la terapia sostituiva in menopausa sembra accelerare il declino cognitivo nelle donne con ApoE4 rispetto a quella sprovviste (Greicius et al.; Brain Imaging Behav. 2014; 8(2): 262–273).
Il livello culturale gioca sicuramente una parte importante nei fattori protettivi contro la neurodegenerazione. Secondo gli studi guidati da Carol Brayne (Università di Cambridge) il dedicare tempo allo studio e alla lettura anche in età adulta è in grado di ridurre o di fronteggiare meglio l’insorgere di demenza. Raccontare il cervello “ rosa” significa anche avvicinarsi alla storia, alla cultura, ai retaggi, alla religione, è lecito quindi chiedere da quando le donne hanno la possibilità di istruirsi, di studiare?
Assistere il proprio marito, genitore o famigliare. Quasi due terzi dei caregiver sono donne.
Nel rapporto “Women and Dementia” emerge un quadro problematico riguardante le donne che assumono il ruolo di caregiver, non tanto per il ruolo di caregiver in sé, ma per il modo in cui questo ruolo viene affidato e portato avanti, spesso in estrema solitudine, con pochissimo supporto da parte della propria rete di amici e parenti, e nei casi migliori, con aiuto precario da parte delle istituzioni. Questo ruolo, che viene spesso dato per scontato, ha pesanti ripercussioni sulla qualità della vita, specie nelle fasi terminali della malattia; non è un caso se depressione e ansia sono tra i disturbi più diffusi tra le caregiver informali di tutto il mondo.
Dalla relazione ADI però emerge che le condizioni del caregiving non sono altrettanto pesanti per gli uomini chiamati a svolgere lo stesso ruolo. La ragione di questa differenza non è del tutto chiara. L’aspettativa dell’accudire è nella maggior parte del mondo rivolta prevalentemente alle donne, le quali a loro volta, interiorizzando tale ruolo, fanno più fatica a delegare i propri impegni di cura, in una società tra l’altro che dà per scontato che una donna assuma più ruoli in famiglia a prescindere dal lavoro e dalla carriera!
Per chi avesse visto il film Still Alice, è emblematica la fine del film: il marito delega alla sorella di lei la cura della malata!
Ci ripromettiamo di ritornare su questo importante tema del caregiver in futuro, magari con qualche testimonianza di donne e uomini che si occupano o si sono occupati dei propri cari affetti da demenza.
Assistenza professionale. Le donne rappresentano anche la maggioranza delle persone addette all’assistenza, sia nelle strutture socio-sanitarie e residenziali che nei servizi dedicati alle cure domiciliari.
Pensiamo all’assistenza domiciliare: è spesso affidata alle “badanti”, che quasi mai hanno una preparazione e istruzione adeguata a svolgere tale delicato ruolo e si trovano ad affrontare situazioni (e dinamiche familiari) difficili da gestire e talvolta persino da comprendere.
Inoltre le donne sarebbero le più attive anche nel volontariato.
Le donne e gli uomini vengono proprio da pianeti diversi, come sosteneva John Gray? Oppure pensiamo, con Karen Blixen, che ci sia una necessaria complementarietà tra di loro: “l’uomo e la donna sono due scrigni chiusi a chiave, dei quali uno contiene la chiave dell’altro”?
Interessante anche il video seguente: https://www.youtube.com/watch?=waeuks1-3Z4